Prima Domenica di Avvento

Anno B

La Chiesa, all’inizio dell’anno liturgico, si dispone a celebrare il mistero del tempo. Lo farà lungo tutto l’anno e si prepara da subito a vivere la sua attesa in un modo del tutto differente rispetto al mondo: non commemorando un evento, sepolto nella notte dei tempi e facilmente sostituibile da altre attrazioni alternative, come la recente proposta di istituire la “festa dell’inverno”, tanto infelice nel suo triste anonimato. La Chiesa attende Qualcuno, le cui Parole sono risuonate, lungo i secoli, in modo unico per ciascun credente, suscitando risposte originali. E ci viene ancora incontro, questo divino Pellegrino del tempo in cerca dell’uomo, dandoci tempo per cercarlo a nostra volta, sprofondando lo sguardo nell’intensità del suo mistero di luce, di silenzio, di amore.

Ci è donato un tempo inedito, per lasciarci raggiungere da Dio proprio in quella lontananza in cui ci siamo smarriti, perdutamente. Una lontananza che ha le apparenze del sonno dell’insensibilità, o l’opacità di un quotidiano in cui le relazioni sono sempre più anonime e che in un attimo diventano feroci, violente. 

Da questa lontananza risuona, con le parole del profeta Isaia, il grido dell’umanità: “Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore?”. Lontano da Dio, percepiamo tutta la nostra inconsistenza, e siamo ridotti a ben poca cosa, quali foglie avvizzite trascinate dal vento. Isaia, in effetti, esprime con efficacia l’esperienza del peccato: nessuno invoca il nome di Dio, tutti sembrano immersi nel sonno dell’incoscienza, Dio sembra aver nascosto il suo volto. Eppure, il profeta esprime, al tempo stesso una teologia del peccato: Dio si nasconde per essere cercato, ed è davanti al suo Volto, ora perduto e cercato con nostalgia, che risalta il dramma del nostro peccato. Nella desolazione, Isaia ci insegna a gridare verso Dio, a partire dalla fede che ci abita dentro, forse in una profondità anch’essa lontana, ma insopprimibile. 

La fede del profeta Isaia, e con lui il nostro cuore, si rivolge a Dio due volte confessando la sua paternità: “Tu sei nostro padre”! Da te, nostro creatore, ha origine la nostra vita. Ma la vita che resta, al di là di tutto, è quella che ci doni come nostro redentore, riscattando la nostra vita perduta, smarrita, addormentata, offuscata dal non senso, dalla paura che ci insidia e che assale l’umanità. “Se tu squarciassi i cieli”, per noi ora chiusi e muti, “ritorna”! (cfr Is 63-64). 

Come un’eco fedele, in sintonia con il profeta, il Salmista cerca lo splendore del Volto che ci salva, in cui è tutta la nostra speranza: “Risveglia la tua potenza e vieni a salvarci… Ritorna!!”. Solo davanti a un Volto, solo facendoci pellegrini del Volto del Salvatore, si può gridare così: “Da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome” (Sal 79), perché è in gioco una Pasqua, il passaggio e l’esperienza di una rinascita, di una vita nuova. Vero ostacolo non è il peccato, ma l’indurimento del cuore che non prega.

Anche noi possiamo fare nostri questi sentimenti e questo grido, perché “è degno di fede” il nostro Dio che ci chiama continuamente alla comunione con sé, comunione al suo modo di vivere, generoso e amante. E che ci manifesta l’unica vita che resta e che merita di essere scelta e vissuta in pienezza: la vita del Figlio dell’Uomo, immagine dell’umanità secondo Dio. 

Nel Vangelo, Gesù ci invita a stare attenti (letteralmente: “aprite gli occhi”), a vegliare scrutando nella notte: dalla veglia della sentinella dipende la possibilità di respingere il male che assale le mura del cuore, come anche di riconoscere l’arrivo improvviso del Signore. Sempre c’è per noi il rischio di trovarsi fuori tempo, impreparati: alla sera, quando Gesù è stato tradito, o al canto del gallo, l’ora del rinnegamento, o al mattino, quando è stato consegnato a Pilato. La sentinella che veglia sa che il pericolo incombe, ma veglia anche nell’attesa per il Signore che viene, viene in ogni istante. E anche quando le forze sembrano esigue o stanno per venir meno, comunque il cuore credente, anche se apparentemente cede al sonno, veglia sempre, perché conosce colui che attende e in cui ha riposto tutta la sua speranza.

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